Il dolore di non avere dolori

Non ce l’ho fatta a leggerlo tutto, City di Baricco. Ci sono stati dei momenti in cui l’ho letto per inerzia, con il solo obiettivo di arrivare alla fine, trascinandomi con fatica tra le pagine, ma volevo finirlo perchè qua e là mi aveva regalato qualche parvenza di magia, e dopotutto è anche cosí che si vive, in una city, a volte si torna a casa presto e indolenti, altre volte si torna tardi dopo aver trovato piccoli segreti tra le vie. 
Di tutte le pagine lette di City, io mi ricordo bene solo di quelle che raccontano il professor Kilroy.
Dopo uno dei suoi soliti monologhi di critica artistica in aula, questa volta verso le Ninfee di Monet, in cui sosteneva che Monet non aveva fatto altro che immortalare uno stagno di soggetti insignificanti, si apre una parentesi sulla sua vita e sul motivo per cui, ad un certo punto, il professore si inclinò nella malinconia delle sue giornate. Gli è successo dopo essere stato al Musée de l’Orangerie. Era andato a vedere le Ninfee nella stanza in cui sono esposte. Lí, aveva scorto lo sguardo di una signora seduta ad osservare in silenzio, l’aveva guardata soffermandosi sulle scarpe e sulla postura, e tornando a casa, “...le sue convinzioni teoriche avevano concluso che il primato della condizione del dolore come conditio sine qua non, è quella di elevare ad una superiore percezione del mondo. Si era convinto che la sofferenza fosse l’unica via capace di condurre al di là della superficie reale. Era la linea curva che dribblava l’ortogonale struttura dell’inautentico. Peraltro, il prof. Mondrian Kilroy aveva una vita felice, priva di significativi dolori, e al riparo dai capricci della sventura. Ciò gli rendeva problematiche le cose, date le premesse teoriche esposte, facendolo sentire inesorabilmente inadeguato, e questa finiva per essere la sua unica ragione di sofferenza: il dolore di non avere dolori. Gli accadeva di sorprendersi a piangere, talvolta, senza precise ragioni, né scusanti. Per un certo verso si rallegrava di simili cedimenti, ma non era cosí succube delle proprie teorie da non provare, ogni volta, un po’ di vergogna.”

Geniale. E poi mi sono fermata a riflettere sulle mie, di convinzioni teoriche, e su come sia possibile vivere una vita “senza particolari dolori”, e se ci siano, oltretutto, dei sinonimi validi di particolare quando associato a dolore.
Sul secondo punto non voglio rispondere, perchè una risposta non ce l’ho, ma sul primo sí, e non c’entra nulla la fortuna. Oltre alle scarpe, della signora, il professor Kilroy aveva notato l’aria di una che aveva vissuto, di una che non sentiva il bisogno di giocare alla narrazione del dolore per vincere il diritto ad una maggior considerazione, o l’urgente necessità di identificarsi nel dolore stesso. Aveva quell’aria, quella, di voler semplicemente esistere, e quell’aria di voler semplicemente esistere, lo portava a provare una sottile sensazione di puro ossequio, vestito da apparente invidia, nei confronti di un atteggiamento cosí suggestivo.
D’un tratto, le Ninfee non erano più oggetti insignificanti posati su uno stagno, ma se non potevano essere questo, non potevano essere più nulla, ed è del nulla che piangeva il professor Kilroy, a causa del suo dolore di non aver avuto dolori, del suo eccesso di prudenza, forse, nei confronti della vita.

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